“Odissea delle Nazioni”
Concerto
Tra sonate all'italiana, ritmi esotici e danze francesi UnderStories Ensemble racconta l'ascesa del violoncello tra 600 e 700.
UnderStories Ensemble
Tickets acquistabili al Teatro
biglietto intero: 20€
Friends di FondazioneGM : 18€
under 35: 15€
under 6: 2€
oppure a questo link:
https://www.ticketsms.it/event/Odissea-Delle-Nazioni-Monza-Teatro-Di-Corte-Della-Reggia-Monza-23-11-2025
PROGRAMMA
Giovanni Battista Lulli (1632-1687)
“Marche pour la Cérémonie des Turcs”, dall’opera Le Bourgeois Gentilhomme
Antonio Vivaldi (1678-1741):
Trio sonata in Sol minore, No. 1, Op. 1 RV 73
I. Preludio; II. Allemanda; III. Adagio; IV. Capriccio; V. Gavotta
Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
Ritournelle pour “Le Turc généreux” dalla Suite Les Indes galantes
“Tambourins I-II” dalla Suite Les Indes galantes
Jean Baptiste Barrière (1707-1747)
Sonata a tre in Re minore, No.2, Libro III, c.1736 (8’)
I. Adagio; II. Allegro; III. Aria-Largo; IV. Giga
Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
Air pour “Les Esclaves africains” dalla Suite Les Indes galantes (1’30”)
Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
“L'Égyptienne” da Nouvelles Suites de pièces de Clavecin RCT 5-6 (3’)
Benedetto Marcello (1686-1739)
Sonata per due violoncelli in Do minore, Op. 2, No. 2
I. Largo; II. Presto; III. Grave; IV. Presto
Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
“Air des Incas” dalla Suite Les Indes galantes (1’30”)
Joseph Bodin de Boismortier (1689-1755)
Sonate en trio No.5, Op.37, 1732 (8’)
I. Vivace; II. Largo; III. Allegro
Clara Pouvreau, Violoncello & Violoncello Piccolo
Bartolomeo Dandolo Marchesi, Violoncello
Margherita Burattini, Arpa doppia
Silvia De Rosso, Violone in Sol & Contrabbasso
Marco Crosetto, Clavicembalo
Jacopo Martignoni, Percussioni
https://www.understoriesensemble.com/
UnderStories Ensemble è un gruppo musicale barocco composto esclusivamente da strumenti del registro basso. Il loro obiettivo principale è esplorare l'ascesa del violoncello come strumento solista, con particolare attenzione al repertorio per due violoncelli concertanti e basso continuo nel XVIII secolo. Aspetto fondamentale dell’attività dell’ensemble è trattare la musica barocca con la stessa libertà con cui veniva eseguita all’epoca, quando arrangiare, modificare le strumentazioni e offrire nuove prospettive su un repertorio apparentemente familiare era una pratica comune.
NOTE DI SALA
Verso la metà del ‘700 si consuma in terra di Francia il più efferato dei colpi di stato. La viola da gamba, anziana signora di un regno ormai scricchiolante, è costretta a cedere il proprio trono al più giovane violoncello, giunto dall’Italia per usurparne il dominio. In un lungo, inesorabile declino, la vecchia regina che per oltre un secolo aveva fatto la delizia delle corti e dei salotti è finalmente chiamata a farsi da parte, per cedere il passo alla fresca spigliatezza di un novellino che ha tutta l’aria di essere venuto per restare.
L’azione, bisogna riconoscerlo, era stata meticolosamente preparata. Almeno a partire dagli ultimi anni del secolo precedente gli italiani avevano cominciato a estendere la loro sfera d’influenza al di là delle Alpi, smerciandovi composizioni in un nuovo gusto che aveva rapidamente conquistato i francesi, assetati di novità da quando, nel 1687, la morte dell’incomparable Jean-Baptiste Lully (1632-1687) li aveva privati dell’ultimo vero rivoluzionario in ambito musicale che avevano conosciuto in tempi recenti. In particolare, il genere tipicamente italiano della sonata aveva suscitato una curiosità quasi morbosa tra i musicisti della capitale, che in men che non si dica avevano tentato di adattarne la forma alle esigenze dello stile di composizione francese: Sébastien de Brossard, maestro di cappella della cattedrale di Meaux, ricorderà anni dopo come “tutti i compositori di Parigi, soprattutto gli organisti, ave[ssero] a quei tempi la mania – per così dire – di scrivere sonate alla maniera italiana”.
Dopo qualche tempo la “mania”, lungi dall’estinguersi, aveva finito per radicarsi. La libertà nell’armonia e nella condotta delle parti, tanto aliena dal gallico gusto, unita alla trascinante cantabilità – caratteristiche, queste, assai bene esemplificate dai lavori di Antonio Vivaldi (1678-1741) e di Benedetto Marcello (1686-1739) inclusi nel programma di questa sera – continuavano a fornire nuova materia d’ispirazione per i compositori francesi, che svilupparono una sorta di linguaggio ibrido tra gli stili di scrittura tipici dei due paesi. È questa l’epoca d’oro dei goûts reunis, della sintesi tra musica italiana e musica francese che sarà alla base dei tanti lavori di compositori come Joseph Bodin de Boismortier (1689-1755) e Jean-Baptiste Barrière (1707-1747). Nelle loro sonate, melodie di un gusto tipicamente italiano si sposano alla languida douceur di matrice lullista, mentre arie di danza si stampo francese come il minuetto o la gavotta assumono movenze che avrebbero fatto strabuzzare gli occhi ai ballerini della Versailles di cinquant’anni prima.
L’Italia, tuttavia, non fu l’unico paese che esercitò sulla Francia una palpabile influenza in ambito musicale nel corso del ‘700; possiamo anzi dire che, tra tutti quelli che aggiunsero il proprio nome alla lista, fu probabilmente il meno esotico. Già nel 1670 Lully aveva composto, per la commedia di Molière Le bourgeois gentilhomme, la musica per un’elaborata scena alla turchesca, in cui una mezza dozzina di dervisci aveva passeggiato inturbantata per il palco del castello di Chambord. La marcia che ne accompagnava l’incedere, a dire il vero, non aveva nulla di turco; ma negli anni successivi, le occasioni in cui la curiosità per un paese percepito come lontano e misterioso si tradusse in una qualche forma d’ispirazione musicale non tardarono a moltiplicarsi.
Nelle opere di Jean-Philippe Rameau (1683-1764) il gusto per l’esotico occupa un posto d’onore. Musicista colto e sensibilissimo, Rameau fu anche un esperto uomo di teatro, capace d’incantare un pubblico con ogni mezzo a sua disposizione, come il più famoso dei suoi lavori teatrali, Les Indes galantes, dimostrò ampiamente nel 1735. Ciascuno degli atti dell’opera si svolge in una diversa parte del mondo, in uno di quei paesi che la pigrizia settecentesca raggruppava sotto il nome generico di Indie: vi troviamo una festa persiana, una stucchevole storia d’amore ambientata nel serraglio di un pascià turco, e un’eruzione vulcanica nel bel mezzo della cordigliera delle Ande. Il tutto accompagnato da una musica di prim’ordine, tanto nelle scene cantate quanto nelle splendide entrées di balletto affidate ai personaggi più disparati: una truppa di marinai, una di schiavi africani, una di “selvaggi”, e persino una di fiori ambulanti. Altri segni della fascinazione esercitata sul compositore dalle terre d’Oriente si possono inoltre ritrovare nelle sue deliziose miniature per clavicembalo, dove, in mezzo a mille altri titoli evocativi, fa bella mostra di sé un’intricata e saltellante Egyptienne.
Strani e multiformi furono gli influssi musicali che, dai quattro angoli del mondo, scelsero proprio la Parigi del secolo decimottavo per darsi appuntamento. In alcuni casi il loro passaggio fu piuttosto discreto, e non fece che suggerire l’idea di un titolo, di un ritmo, o del canovaccio di un’opera a questo o a quel compositore; in altri, come nel caso della musica italiana, quella che pareva una visita di cortesia si trasformò in un trasloco in piena regola, con conseguenze a lunghissima durata. Ma nessuno di essi passò inosservato. Tutti contribuirono a plasmare, con la loro presenza, il colorato panorama musicale della Francia settecentesca, conducendo per mano generazioni e generazioni di ascoltatori in un’Odissea di suoni che fece la meraviglia di un secolo.
Federico Franchin